C’era una volta la Ferrari dei 4 pit stop, e oggi?

C’è Ferrari e Ferrari: dal 2004 al 2011 ne è passata di acqua sotto i ponti. Resiste forte negli occhi e nel cuore la Ferrari del trio Schumi-Brawn-Todt. Una squadra aggressiva e vincente, imbattibile. Un team capace di dominare in lungo e largo per più di un quinquennio.

E se la Red Bull di oggi viene paragonata alla Ferrari di allora un motivo c’è. Ma agli austriaci mancano ancora tre anni e sei mondiali da conquistare di seguito per entrare nella storia.

C’è poi la Ferrari dei giorni nostri, timida e incerta. Squadra malinconica che vive in uno stato di perpetua transizione. Il mondiale di Raikkonen del 2007 rassomiglia sempre di più al canto del cigno di una scuderia che è stata praticamente perfetta per un decennio.

Poi sono cambiati i regolamenti, la vecchia guardia ha lasciato ed è arrivato nel 2010 il Banco Santander con Fernando Alonso. L’inizio di un nuovo corso sotto la guida di Stefano Domenicali, promosso team principal sul campo dopo anni di ottimo delfinato a Jean Todt. Con lui a fare da ponte tra epoche diverse e con un pilota in gamba come Alonso la Ferrari doveva essere pronta a ripartire forte, a vincere a destra e manca.

Invece dinanzi a Maranello si è innalzato un muro invalicabile, composto da avversari fortissimi, regole criptiche, errori strategici e, ahimè, macchine deludenti. Basti pensare che nell’ultimo triennio la Ferrari ha vinto sette gran premi. Mentre dal 2006 al 2008 erano stati ben ventisei le tappe conquistate.

La Ferrari dell’ultimo biennio, follia di Abu Dhabi compresa, è una scuderia buona ma nulla di più. Alla quale manca il dovuto coraggio e la giusta spregiudicatezza per emergere contro la travolgente Red Bull. Scelte sbagliate in fabbrica e al muretto, scelte ambigue per quanto riguarda la politica piloti (Massa ha meno della metà dei punti dei diretti avversari) sono ormai un classico nelle stanze dei bottoni di Maranello.

E i paragoni in quanto ad aggressività e inventiva sono impietosi e senza alcuna possibilità d’appello:

Gp del Belgio 2011: la Ferrari è veloce ma gioca in difesa. Nonostante la saefety car in pista che avrebbe ammortizato la sosta, il team rinuncia a montare gomme fresche e martellare. Preferendo amministrare un terzo posto sulla distanza. Senza però aver fatto i conti con Button e con una macchina costruita maldestramente che non scalda le gomme dure (anzi medie). Due soste e un risultato positivo a portata di mano gettato alle ortiche, ma d’altronde questa Ferrari è capace di perdere i mondiali per le scelte del muretto.

Gp di Francia 2004: Mondiale dominato dalla Ferrari di Michael Schumacher. Ma a Magny Cours la pole position è di Fernando Alonso. Ecco allora il colpo di genio di Ross Brawn, di Luca Baldisserri e in parte del pilota. Dopo il primo stint i tre si accorgono di quanto  tempo si possa guadagnare girando con poca benzina e gomme nuove. Nasce così la pazza idea di fare quattro pit stop, in pratica per Michael sono cinque sessioni di qualifica coronate da una vittoria fantastica e a suo modo storica.

Strategia entrata negli annali e pensata da cervelli che oggi non siedono più al muretto della Rossa. Nel 2011 il piatto forte della casa è Neil Martin in differita, con un centro operativo che non si sa bene cosa sia, a cosa serva e perchè esista. E francamente preferiamo non saperlo, vista l’ (in)utilità.

Il presente fa inorridire pensando al recente passato, il team di oggi è una controfigura sbiadita di quello di ieri. Ormai stonano i continui proclami di rimonta o di riscatto degli uomini in rosso.

E’ rabbia mista a tenerezza quella che provocano le ricorrenti parole di Domenicali e Alonso. “Puntiamo a vincere ancora delle gare o ad andare sul podio”. Come se il Cavallino dovesse accontentarsi di singole tappe e terzi posti poi…

Monza diventa davvero la deadline. Il punto di non ritorno per l’onore della Ferrari. Un risultato negativo sulla pista di casa, nonchè circuito che non chiede troppi sacrifici aerodinamici, sarebbe una vera e propria Waterloo per l’attuale dirigenza. Bisogna smettere di sperare che l’anno buono sia sempre quello che deve arrivare…

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