Vettel a confronto con i grandi della storia

Spesso, quando si parla di Sebastian Vettel, ci si dimentica di avere a che fare con un Campione del Mondo. A voler essere precisi, i titoli iridati sono due ed accompagnati dal record di precocità sia per il primo che per il secondo alloro, oltre agli stessi primati detenuti in fatto di punti, pole position, podi e vittorie conquistati. Non si parla quindi di qualcuno che fa numero sulla griglia, ma di uno dei protagonisti principali dell’ultimo lustro di GP.

Pur essendo il dominatore del campionato – come non accadeva dai tempi d’oro di Schumacher in Ferrari – in pochi tendono a riconoscere il suo vero valore. Montezemolo, Alonso, DiResta, tanto per citare solo alcuni nomi, non si sono risparmiati nel mandare frecciatine più o meno nascoste nelle loro recenti dichiarazioni. Tutte sulla stessa falsariga: “Vettel è bravo, ma…”, lasciando presupporre varie ipotesi, tra cui le più gettonate sono: 1) “… c’è qualcuno più bravo di lui”; 2) “… senza quella macchina vincerebbe molto di meno”; 3) “… altri al suo posto farebbero altrettanto”.

Non è mai facile valutare un pilota, né in confronto ai suoi rivali presenti, né tantomeno rispetto a quanti prima di lui hanno scritto pagine importanti di questo sport. Le variabili da tenere in considerazione sono le solite: vetture a disposizione, rivali in pista, esperienza maturata, errori commessi, episodi sfortunati… In nessun caso si riuscirà mai a mettere d’accordo tutti.

Tuttavia, entriamo nel merito della questione, provando ad isolare ed analizzare dei numeri interessanti. Partiamo da uno degli argomenti preferiti da chi non crede molto in Vettel, ossia la monoposto spaziale. Indubbiamente la RB7 di quest’anno è stata in sostanza perfetta, e anche la precedente RB6 era velocissima, nonostante fosse un po’ più fragile. Ma allo stesso modo i piloti che hanno vinto i mondiali in passato non guidavano certo delle vasche da bagno. Quando si rileva ad esempio il record di 15 pole position stagionali di Vettel, è giusto considerare che ciò è stato possibile anche grazie ad una Red Bull che si è dimostrata una vettura capace di conquistare 18 volte la prima posizione in griglia su 19 qualifiche.

Ma sarebbe altrettanto giusto ricordare che anche che le McLaren del 1988 e del 1989 e le Williams del 1992 e 1993 hanno conquistato tutte le pole position tranne una in stagione. E i piloti di allora (Senna, Prost, Mansell) non sono certo visti come chi si è trovato al posto giusto nel momento giusto. In tutti e 4 i casi, la media di pole position l’anno (14/16 per Mansell nel 1992, 13/16 per Senna nel 1988/89 e Prost nel 1993) è stata superiore a quella di Vettel del 2011 (15/19).Inoltre si possono considerare i distacchi: nel 1988, nelle 15 gare in cui la McLaren partiva in pole, il distacco dal primo inseguitore su una vettura differente oscillava tra un minimo di 0,108 secondi (GP di Ungheria) a un massimo di 3,352 secondi (GP San Marino). In totale, per 10 volte su 15 il primo inseguitore aveva un distacco superiore il secondo, con un valore medio di + 1,184 secondi. Nel 1989 il distacco minimo fu di 0,252 (GP Francia) e il massimo di 2,146 secondi (GP Giappone), con una media di + 1,144 secondi (e 8 occasioni su 15 in cui il distacco fu superiore il secondo al giro). Nel 1992 i distacchi variarono tra un minimo di 0,470 (GP Australia) e un massimo di 2,741 secondi (GP Gran Bretagna), in media +1,25 secondi, mentre nel 1993 tra 0,088 (GP Sudafrica) e 1,913 secondi (GP Spagna), in media + 1,179. Nel 2011, nelle 18 occasioni in cui la Red Bull è partita in pole, il distacco è variato tra un minimo di 0,009 (GP Giappone) e un massimo di 0,980 (GP Spagna), per una media di +0,439 secondi.

Lo stesso discorso si può fare per i record del numero di giri e km al comando, stabiliti quest’anno potendo contare su una distanza percorsa maggiore. In percentuale, Vettel ha percorso in testa il 65.23% dei giri e il 65.48% dei km, mentre Mansell nel 1992 arrivò rispettivamente al 66.99% e al 67.91%, e Clark nel 1963 addirittura al 71.47% e al 72.06%.

E ancora… i 17 GP in testa in un anno sono un primato in valore assoluto, ma la percentuale (17/19, pari a 89.47%) è inferiore a quelle ottenute da Clark nel 1963 (9/10, 90%), Prost nel 1993 (15/16, 93.75%) e Stewart nel 1969 (11/11, 100%).

Si potrebbe andare avanti all’infinito, solo per arrivare sempre alla stessa conclusione: tutti i piloti plurivittoriosi hanno potuto contare, per un periodo più o meno lungo, su vetture eccellenti.
D’altra parte, neanche i sostenitori di Vettel sono immuni dalle valutazioni affrettate. La motivazione più utilizzata per esaltare le qualità di Sebastian riguarda la sua precocità: nessuno aveva vinto tanto alla sua età. Una simile affermazione, però, non tiene conto del fatto che negli ultimi anni l’età media per esordire in F1 si è notevolmente abbassata.
Buemi e Alguersuari, per fare qualche esempio, hanno 44 anni in 2, ma sembrano dei veterani dei GP.

Se si guarda al passato più o meno recente, si scopre che solo Alonso e Hamilton avevano disputato un numero di GP paragonabili a quelli di Vettel alla stessa età. Schumacher era alla seconda stagione completa, Senna alla prima, Prost non aveva ancora esordito, per non parlare dei piloti degli anni precedenti. Un confronto più significativo potrebbe essere quello di verificare i risultati ottenuti a parità di GP disputati.

Tra i plurivittoriosi che hanno disputato almeno 81 GP (quelli di Vettel) a presentare il miglior palmares è (forse a sorpresa, considerando i paragoni più frequenti) Jack Brabham, che aveva già conquistato il suo terzo titolo iridato. Va detto, a parziale “giustificazione” dei piloti più recenti, che a quei tempi le stagioni erano decisamente più brevi: l’australiano, infatti, era al dodicesimo campionato disputato (anche se non tutti completi).

Ecco le cifre più significative dei grandi della Formula 1 dopo 81 GP:

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Questa sorta di classifica evidenzia dati particolari. Il solo Hakkinen risulta quasi a secco nel palmares (esclusi 12 podi), pur potendo contare per 3 stagioni su una McLaren. Anche Prost, a sorpresa, compare quasi in fondo, sopravanzato da piloti che a fine carriera avrebbe però battuto. Il francese avrebbe vinto il primo titolo da lì a poco, così come Lauda e Alonso, prossimi al secondo titolo. Fittipaldi aveva già ottenuto i principali successi, Piquet era già bi-campione, così come Stewart, che aveva già vissuto l’annata d’oro – precedentemente citata – del 1969, in cui riuscì ad essere in testa ad ogni singolo GP nel corso della stagione. Senna aveva ottenuto circa la metà delle pole position conquistate grazie alle MP4/4 e MP4/5. Il solo Schumacher stava vivendo un periodo “calante” prima dell’esplosione del 2000.

In tutto questo, in una ipotetica classifica Vettel si posiziona secondo tra questi “mostri sacri”, battuto dal solo Brabham in fatto di titoli mondiali. Il tedesco però risulta essere il pilota ad aver ottenuto più vittorie, 21, seguito da Stewart e Schumacher a 20. Nelle pole position, il pilota Red Bull è secondo al solo Senna, mentre è nettamente davanti a Lauda e Hamilton e addirittura doppia Schumacher e Alonso. Anche nei podi, il palmares è di tutto rispetto, visto che ad averne ottenuti di più nello stesso numero di gare sono stati solo Schumacher (al primo posto in questa graduatoria a quota 42), Hamilton (40) e Senna (37), con Vettel subito dietro (36). Nei giri veloci in gara, invece, il distacco è pesante (24 a 9) da Michael Schumacher, che in questa graduatoria doppia gli immediati inseguitori (Stewart e Prost fermi a 12).

Numeri niente male per un pilota che soltanto 3 anni fa rischiava di rimanere lontano dalla Formula 1 e bruciarsi la carriera prima ancora di compiere 21 anni. Mentre molti rimangono ancora indignati per il benservito della Toro Rosso a Buemi ed Alguersuari, pochi ricordano che la stessa sorte, in maniera forse ancora più “brutale”, stava per essere riservata anche a Vettel. La differenza principale è che Buemi ha avuto a disposizione 55 GP per dimostrare il suo valore, Alguersuari 46, mentre Vettel era in discussione dopo averne disputati solo 12. Tutti adesso vedono in Vettel il “cocco” della Red Bull, protetto da Marko, ma dopo 4 ritiri e un 17° posto nelle prime 5 gare del 2008, il suo posto in Toro Rosso era già in bilico.

A “salvarlo” fu un ottimo 5° posto ottenuto al GP di Monaco. Non un piazzamento qualunque, perché è bene tenere presente, per chi continua a considerare il tedesco un pilota incline all’errore, che quei punti arrivarono grazie ad una gara accorta, priva di indecisioni, in condizioni difficili che avevano visto sbagliare piloti ben più blasonati, come Alonso e Raikkonen. Il resto è storia nota: la vittoria a Monza lo stesso anno con la STR, la promozione in Red Bull, i titoli mondiali.

Guidando le macchine di Newey è diventato uno dei 32 piloti ad aver vinto un mondiale, e poi uno dei 15 capaci di arrivare al bis, su un totale di 733 partecipanti nella storia del campionato del mondo. Troppo poco, probabilmente, per reggere il confronto con Schumacher, Fangio, Prost o Senna (in rigoroso ordine di palmares), ma già tanto per ignorare le sue potenzialità e considerarlo ancora un pilota incompleto.

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