Renault RE 40, la madre degli scarichi soffianti

Il tormentone scarichi sta certamente caratterizzando i test in vista della stagione 2012, dopo aver monopolizzato l’attenzione nella scorsa stagione quando era ancora possibile utilizzare i gas in rilascio per ottenere un aumento dell’aderenza posteriore.

La soluzione introdotta dalla Red Bull e subito imitata da tutte le scuderie trova in realtà le sue origini negli anni 80 grazie a Jean Claude Migeot.

L’ingegnere francese, nel 1983, si trova di fronte ad una sfida aerodinamica notevole. La Federazione aveva infatti imposto il posizionamento delle minigonne ad una altezza tale da limitare le elevatissime velocità di percorrenza di curva che le monoposto dell’epoca avevano raggiunto.

Tale limitazione aveva comportato una consistente perdita di carico aerodinamico che doveva essere ad ogni modo recuperato. La storia ricorda come la Brabham avesse aggirato il divieto dotando la propria vettura di un sistema idraulico che consentiva, una volta uscita dalla pitlane, di abbassare la monoposto quel tanto che bastava per ricreare il sigillo aerodinamico. Soluzione discussa e che verrà vietata l’anno successivo poiché contraria allo spirito del regolamento.

Migeot, che all’epoca prestava servizio presso il team Renault, adotta in occasione del Gp di Montecarlo sulla RE 40 un sistema perfettamente legale, gli scarichi soffianti nel diffusore.

Se in origine il tecnico francese aveva pensato di creare delle minigonne pneumatiche sfruttando i gas di scarico, gli scarsi risultati ottenuti indirizzarono l’equipe della losanga verso una soluzione già nota in ambito aeronautico. Con il soffiaggio direttamente nel diffusore si ottenne un grande vantaggio alle basse velocità, mentre nelle curve veloci un semplice alleggerimento sul pedale del gas rendeva la vettura particolarmente nervosa a causa di una sensibile perdita di carico aerodinamico.

Alain Prost, all’epoca pilota di punta della scuderia francese, non fu molto tenero all’inizio con Migeot. Il soffiaggio nel diffusore comportava una tecnica di guida meno fluida, decisamente diversa da quella tipica del professore, ma alla lunga il sistema venne migliorato e consentì a Prost di lottare per il mondiale sino alla fine, dovendosi chinare a Piquet solo all’ultima gara in Sudafrica, a causa del cedimento del motore.

Ancora una volta il passato ispira il presente e Newey, da buon nostalgico delle vetture “vintage”, plasma alla perfezione soluzioni vincenti.

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