Ecco come viene programmato un test in Formula 1

Prima di concentrarci su un argomento molto attuale della F1 – ossia i test – voglio condividere con voi il mio pensiero sullo scorso GP del Bahrain che ha visto un altro vincitore: la Red Bull che torna sul gradino più alto del podio e una Lotus che finalmente riesce ad esprimere il proprio potenziale fatto già vedere nei test invernali.

Diciamoci la verità, qualche sospetto su Vettel a qualcuno era venuto: gli ultimi anni aveva vinto grazie ad una macchina nettamente superiore alla altre e, non appena la vettura si è dimostrata non all’altezza della situazione, si è perso. Ebbene, ora tutti smentiti. Alla prima occasione in cui la Red Bull si è comportata come una vettura vincente, il tedesco ha tirato fuori le unghie. Come non aspettarselo da un pluricampione del mondo. La Red Bull torna a vincere e la cosa non sorprende, ma è comunque significativo, perché sta dimostrando di avere anche capacità di reazione ad una situazione iniziale negativa.
La Lotus finalmente ha ingranato un GP degno della sua prestazione e sono convinto che la gara, più che averla vinta Vettel, l’abbia persa Kimi. Sarà perché è partito troppo indietro in griglia oppure per la strategia dell’ultimo pit stop, ma attenzione che questo GP Kimi lo poteva vincere! Per due anni non ha guidato una Formula 1 e non ha avuto molti test a disposizione per prepararsi, dunque complimenti a lui.

Una ultima nota sul GP del Bahrain: le gomme Pirelli. Le vere protagoniste di questo inizio anno che, grazie al loro comportamento, hanno mischiato bene bene le carte, rendendo molto avvincente il campionato. In Bahrain mi è sembrato abbastanza chiaro che entrambe le posteriori andassero in give up. Tradotto in italiano significa mollare: ad una temperatura molto elevata, anche di 140-150 gradi, la gomma perde le sue caratteristiche meccaniche, trasformando anche la propria composizione chimica. Quindi, passa da una gomma che si attacca all’asfalto e mantiene la sua rigidezza, permettendo di trasferire forza alla vettura, ad una gomma appicciosa senza forza meccanica. Un po’ come una gomma da masticare che fino a quando è a circa 36 gradi è molle ma non si sfalda, quindi è possibile masticarla; mentre se dovesse raggiungere i 50 gradi si trasformerebbe in un filamento senza corposità. La situazione di give up viene gestita molto meglio da vetture con maggior carico aerodinamico e leggermente sbilanciate nel posteriore (più carico nel posteriore rispetto all’anteriore). Red Bull e Lotus hanno quelle caratteristiche, seguite da Mclaren e poi da Mercedes. Ferrari ha dimostrato invece di essere una vettura con molto carico sull’anteriore e, non appena troverà carico anche al retrotreno, potrà diventare una assoluta protagonista.

Passiamo oltre e puntiamo la nostra attenzione sui test, dato che ci aspettano adesso tre giorni al Mugello che BlogF1.it seguirà con il consueto Live Blogging. Voglio, prima di tutto, fare una considerazione: sono fermamente convinto che togliere i test sia stata una decisione sbagliata. Chi ha vissuto gli anni ottanta e novanta, sa benissimo che i budget erano molto più bassi di quelli di adesso, eppure si facevano tante prove pre, durante e post campionato. Qualcuno si ricorderà, specie chi vi partecipava, i test di febbraio a Rio de Janeiro che duravano almeno 20 giorni, oppure i test di Imola nel ’90 con McLaren che fece 15 giorni e la Ferrari 8, comprese le domeniche, con le tribune gremite di persone.

Tutti i più grandi campioni con cui ho lavorato erano maniacali nel dare importanza ai test, alla metodicità delle prove, al saper cogliere in qualsiasi run in pista spunti per poter migliorare la vettura. Ricordo nell’autunno del 1995 il test all’Estoril con Michael Schumacher, che venne a fare il suo secondo test con la Rossa. Il primo, indimenticabile, era stato a Fiorano. Noi ingegneri arrivammo in pista alle 8:15 per la solita riunione, prevista per le 8:30. Michael era seduto sugli scalini che portavano all’ufficio del motorhome già dalla 7:45. Da quel momento qualcosa in Ferrari è cambiato: scalammo tutti almeno 3 marce per sintonizzarci con Schumacher. Ecco cosa vuol dire avere un campione in squadra. Se la F1 dovesse autorizzare nuovamente i test, credo che Michael potrebbe rivivere una seconda giovinezza e sarei pronto a scommettere su un suo possibile ottavo titolo mondiale.

Torniamo al presente, che è quello che conta. Voglio spiegarvi come si arriva ad organizzare un test in Formula 1. La data dei test del Mugello è stata fissata già da molto tempo e tutti i team hanno avuto tempo per prepararsi all’evento. Non è molto diverso da una situazione tipica di una azienda manifatturiera che ha come scadenza una fiera importante per lanciare un suo prodotto. L’unica differenza è che questa lancia pochi prodotti all’anno e ha a disposizione 2-3 fiere per farlo, mentre la F1 ha a disposizione 20 “fiere” (tanti sono i GP in un anno)  e 4 test per portare ogni volta un nuovo prodotto. Mica facile! Se poi, giusto per un attimo, pensiamo che fino al 2007 i test erano liberi, la Ferrari con Fiorano – Mugello e un’altra pista europea aveva un nuovo prodotto ogni settimana da testare, per provare la sua prestazione e la sua affidabilità. Ribadisco, mica facile!

Proviamo a pensarla in questo modo: prendete un calendario e fissate due domeniche intervallate di 15 gg (tanto è il tempo che mediamente intercorre tra due GP) e prendete il lunedì successivo alla prima domenica. Durante quel giorno si cominciano i briefing tecnici in modo fa fare una analisi approfondita su cosa è successo durante il GP e avere un feedback. Le domande che si utilizzano sono: cosa è andato bene, cosa si poteva fare meglio e cosa non è andato bene. Tutto parte da qui, dal feedback. Tutti gli enti che lavorano sulla prestazione e sulla affidabilità cominciano a guardare dati su dati per rispondere alle tre domande. A questo punto nasce la creatività, nascono le idee che si tramuteranno in una revisione delle azioni, in modo da portare innovazione nei gran premi successivi. Per fare azione c’è bisogno di pianificare ed allora è necessario stabilire quando introdurre le innovazioni in pista, in funzione della capacità di disegnazione e progettazione, nonché quella di produzione. Ecco da dove nasce il gran lavoro di cui si sente spesso parlare! Nasce dalla consapevolezza delle risposte alle tre domande e dal fatto che si vorrebbero introdurre le innovazioni nel più breve tempo possibile. Torniamo alla nostra industria manifatturiera: se avesse una mentalità da F1 (e perché no? Io mi diverto a fargliela acquisire) proverebbe con tutte le proprie forze ad anticipare l’introduzione del prodotto, in modo da essere sempre più competitiva nel mercato. Per fare questo ci vuole tanto lavoro nella fase di progettazione, produzione, controllo qualità e consapevolezza che il tempo è un amico e non un nemico.
E’ necessario che tutti i settori spingano verso un’unica direzione: quella di far vincere l’azienda. Posso? Mica facile!

Torniamo a noi. Abbiamo detto che tutto parte dal feedback. Qualcuno più esperto tra di voi potrebbe dirmi: so che i vari team preparano i vari pacchetti di innovazione già da inizio anno e ne determinano anche la pianificazione di introduzione nei vari GP. Verissimo, ma dico che questo è un tipo di progettazione distaccato da quello che poi è la realtà della pista e che funziona solo se la macchina è veloce, affidabile  e competitiva da subito. Nel caso in cui la vettura manifesti problemi di affidabilità o di prestazione inaspettati, solo il feedback immediato con la successiva e repentina fase di revisione – creazione possono essere reali medicine per la cura della vettura (potrebbe essere stato questo a far riportare la Red Bull in alto?). Poi se arrivano dei pacchetti di innovazione già pianificati, meglio ancora.

Quindi, dal lunedì al venerdì della settimana successiva al  GP si fanno diverse riunioni per rispondere alle tre domande, per disegnare, per pianificare e per cominciare a produrre nuove soluzioni. Quando c’erano i test liberi si aveva tempo fino al sabato (spesso fino al martedì successivo) per far arrivare le soluzioni in pista da provare durante il test. Si valutava la performance e l’affidabilità della soluzione e, attraverso varie riunioni di feedback, si dava l’esito dell’esperimento. Nel frattempo la produzione era stata avviata, con un certo rischio, in modo che al venerdì del GP successivo ci fossero in pista le soluzioni pronte per essere montate sulle vetture gara. Ecco cosa voleva dire lavorare molto. Ad oggi, dove i test sono incastrati nel venerdì di prove libere del GP, le innovazioni sono portate direttamente in gara con la grande difficoltà di valutarle propriamente. Si dice che la F1 debba essere un laboratorio tecnologico utile alle aziende come polo e successivo trasferimento di innovazione. Io credo che dovrebbe essere visto anche come un laboratorio tecnologico per trasferimento di competenze procedurali per incrementare la performance di tutte le aziende che sono coinvolte in un mercato competitivo. Fino a quando c’erano i test i team di F1 erano all’avanguardia in questo campo. Laddove ho lavorato per questa implementazione procedurale, le aziende che ho seguito hanno fatto uno step tangibile in avanti.

Tutto questo preambolo mi è servito per introdurvi al lavoro durante una giornata di test. Si parte con un piano ben stabilito, grazie a diverse riunioni gestite dal direttore tecnico e dal direttore di pista, che contiene:
– L’elenco dei vari esperimenti da provare con la loro priorità;
– La metodologia di prova con un programma dettagliato di tutto il test;
– La scelta dei piloti, con la possibilità aperta di far provare ad entrambi le principali innovazioni da introdurre successivamente in gara;

Per definire se una soluzione è positiva dal punto di vista performance si utilizza una procedura ben precisa. Servono innanzitutto 3 tipologie di informazioni:
– Il commento del pilota
– Il laptime
– I dati di telemetria

La prova viene sempre fatta con una comparazione doppia, ovvero:
Vecchia soluzione (baseline) – nuova soluzione – ritorno alla vecchia soluzione (baseline) – nel caso di dubbio si rimonta ancora la nuova soluzione;

Il tutto sempre con gomme nuove dello stesso tipo o usate, ma dello stesso numero di giri. Tutto qui? Eh no, non è così semplice. Le varie prove comparative devono essere fatte con circa le stesse condizioni di pista, di temperatura e di quantità di gomma sull’asfalto. Ed è per questo che si deve ritornare ogni volta alla vecchia soluzione per ristabilire la condizione conosciuta, ovvero la baseline del test. Mi spiego meglio con un esempio;
1) Si parte con la vettura con soluzione vecchia e diciamo che si esce dai box alle ore 10.00;
2) Si monta la soluzione nuova e si esce dai box alle  ore 11.30 (magari c’è del lavoro impegnativo da fare sulla vettura). Dalle 10 alle 11.30, se si è in estate, c’è una grande variazione di temperatura asfalto e quindi l’esito della prova sarebbe filtrato da questa variante ( 10-15 gradi di asfalto sono decimi pesanti in termine di laptime);
3) Si ritorna alla soluzione vecchia alle ore 13.00 in modo da chiudere il cerchio e fissare i due estremi di riferimento che danno la possibilità di isolare ogni filtro esterno, ovvero tutto ciò che non è parte dell’esperimento che si sta provando,  che modifica la performance della vettura (temperatura asfalto, ambiente, vento, gommatura della pista ecc..);
A questo punto, si analizzano i vari dati e si mettono a confronto con il laptime e con il commento del pilota.

Quando dirigevo i test per la Ferrari, l’informazione più importante per me era il commento del pilota. O meglio, l’espressione facciale del pilota una volta sceso dalla vettura. Ricordiamoci sempre: le emozioni guidano gli uomini, gli uomini guidano la performance. La seconda informazione importante era il laptime. L’informazione dei dati di telemetria era una visione razionale della prova svolta, una raccolta semantica per arricchire la neocorteccia del nostro lobo frontale, molto utile nella fase del feedback successivo.

Mi ricorderò sempre un test svolto con Michael quando provammo un nuovo traction control, frutto di una idea geniale del reparto elettronico, diretto allora dal mio grande amico Roberto Dalla, attuale direttore generale della Magneti Marelli Motorsport. Una volta rientrato ai box, Michael scese dalla vettura e chiamò gli ingegneri a rapporto. Dovevate vedere la sua faccia, sembrava un bambino a cui era stato dato un regalo, il regalo che desiderava sopra ogni cosa. Ecco come si riconosce quando veramente funziona un nuovo esperimento montato in vettura. Stessa situazione quando con Rubens provammo delle nuove costruzioni di pneumatici posteriori Bridgestone. In telemetria si vedeva un problema tale da mettere in dubbio la bontà delle gomme, ma il pilota – invece – scese dalla vettura e quasi baciò il giapponesino Bridgestone, dicendogli che fino a quel momento non aveva mai avuto un posteriore così stabile. Sto divagando. Ci sarebbe da dire di Prost che fece la comparazione di tre diverse costruzioni dei pneumatici Good Year (all’epoca la telemetria era ben povera), oppure quando ha provato i famosi vortex dell’ala anteriore nel 1990, frutto di una genialata incredibile della galleria del vento Ferrari. In venti anni di test posso dire che mai ho potuto imparare tanto quanto dai commenti dei piloti. Per me, ad esempio, Luca Badoer era assolutamente fantastico a “sentire” la bontà di un esperimento. Un vero professionista nel percepire cosa andava bene nella vettura e Schumacher si fidava ciecamente dei suoi commenti.

Ho voluto descrivervi un po’ di cose, magari fino ad oggi sconosciute, più legate a fattori umani piuttosto che a procedure. Certamente ce ne sono tante durante un test, ma queste possono variare da team a team e avrebbero comunque una valenza informativa per mio conto inferiore. Il bello era vedere l’emozione e la voglia di un pilota a provare cose nuove, fin dalla prima riunione delle 8.00 del mattino. Il desiderio e la passione nel rimanere con gli ingegneri che, sotto sotto, anche se dovevano stare alzati fino alle prime ore del mattino del giorno successivo, amavano il mestiere che stavano svolgendo. Il lavoro era un divertimento e non una fatica. Anche per i meccanici che pur di consegnare una vettura sempre perfetta al pilota, si spingevano a lucidare la vettura che quasi toglievano quasi il primo strato di vernice.

Oggi, normalmente, in una giornata di test si  inizia a girare alle 9.00 per finire verso le 17.00. I meccanici poi smontano tutta la vettura per revisionarla e rimontarla con gli esperimenti programmati per il giorno successivo. Un lavoro lungo e molto impegnativo che richiede molta concentrazione. Tutti loro sanno che poi ci sarà un uomo a guidare la vettura portandola sempre al limite con tutti i rischi del caso.

Qualche anno fa era un po’ differente; c’era qualcuno di voi a vedere dalle reti del circuito le prove a Fiorano? Vi ricordate quando c’erano le bandelle dell’ala anteriore con lo splitter in titanio che toccava per terra e che faceva le scintille? Bene, quelle scintille erano la luce che davano la possibilità ad Alesi di guidare praticamente nel buio. Quando la vettura passava davanti ai box si sentiva il rumore (il suono del dodici cilindri, e che suono!!) si vedevano solo gli scarichi incandescenti, le scintille delle due paratie ed il rosso dei freni ancora caldi dall’ultima frenata. Vi dico la verità, ringrazio sempre Dio che mi ha permesso di vivere questa mia passione e di viverla in anni di pieno splendore della F1.

Oggi termino qui, ma vi faccio una promessa; prima del GP di Barcellona vi scriverò come si fa l’assetto della vettura specificatamente per la pista catalana. Tornerò a fare un articolo tecnico. Li magari vi racconterò finalmente di quello che mi disse Prost, relativamente al laptime nelle curve lente ed in quelle veloci, dato che avevo fatto riferimento nell’ultimo articolo dopo la Malesia.

Un caro saluto,
Luigi Mazzola

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