I 50 anni McLaren. Dal sogno di Bruce alla leggenda vivente

La scuderia di Woking compie oggi i cinquant’anni dal giorno di fondazione nell’ormai lontano 1963. Cinque decadi in cui il team ha scritto una parte importante della storia della F1, divenendo leggenda

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Settembre 1963. Jim Clark e il Team Lotus erano lanciati verso il primo iride della loro incredibile storia, con la scuderia britannica volta a sbaragliare la concorrenza dei team italiani e i gli agguerriti competitor connazionali. Al termine della stagione Clark vinse il titolo, ma proprio in quella stagione ebbe il via un progetto che, nei decenni successivi, avrebbe segnato per sempre la storia della F1. L’evento in questione venne pensato, studiato e realizzato da un pilota neozelandese di buon talento, tale Bruce McLaren.

Il progetto di Bruce McLaren, quello di diventare costruttore, aveva preso piede qualche mese prima, ma fu dopo un torrido mese di agosto che il sogno del pilota australiano dal buon palmarès divenne realtà. Quello di McLaren è stato a suo modo un percorso alla Enzo Ferrari, che, come il Drake, vide il giovane oceanico incominciare al volante di vetture da corsa per poi scendere e farci salire altri piloti. Ma le vetture non erano acquistate da team fornitori. Erano sue.

Se Ferrari appese casco e guanti al classico chiodo per doti velocistiche non eccelse, per McLaren il discorso risultò differente, ma non meno impegnativo e soddisfacente di quella passata dal Commendatore. Il progetto per debuttare come costruttore nel mondiale Sport già nel ’63 era pronto, con McLaren impegnato in vari test per portare la nuova vettura, siglata M1A in pista il prima possibile. Problemi di gioventù e difficoltà collaterali impedirono al primo modello di divenire la prima McLaren a debuttare in un campionato del mondo, ma la diretta discendente centro l’obiettivo. La M1B, vettura Sport con telaio in traliccio tubolare rinforzato da pannelli in lega, equipaggiata da un motore Oldsmobile F85 da 4500 centimetri cubi, fece il suo debutto iridato l’anno seguente.

Sino al 1965, McLaren corse in Formula Uno con una Cooper, per poi dedicarsi solo alle competizioni per vetture Sport. Nel 1966 la svolta tanto attesa: il debutto in F1. La monoposto era siglata M2B, le ambizioni buone ma tutte da verificare su di colei che nel motorsport decreta tutto: la pista. L’annata di lancio fu fallimentare. La vettura affatto competitiva, il motore inadeguato per le esigenze dell’epoca. Poteva finire tutto e subito, togliendo i rivetti dalle lastre d’alluminio e smontando gli alberi motore dei V8 Ford, che avevano accompagnato al debutto la M2B, ma così non fu. La storia, poi tramutata in leggenda che ancora scalda i cuori di molti appassionati in giro per il mondo, doveva compiersi per davvero e per portarla avanti serviva la tenacia di un neozelandese come McLaren.

Tutto ciò che seguì la prima annata delle monoposto arancioni (colore poi sparito per lasciare spazio a livree dettate da munifici sponsor internazionali) è nei libri di storia dell’automobilismo. Dodici titoli mondiali piloti, il primo conquistato nel 1974 da Emerson Fittipaldi; l’ultimo nel 2008 da Lewis Hamilton e in mezzo le triplette di Senna e Prost. Senza dimenticare i due iridi consecutivi di Hakkinen nel biennio 1998-1999 caratterizzato dai duelli con Michael Schumacher e la Ferrari; il mondiale di Hunt del 1976 contro Lauda (che ha ispirato di recente Ron Howard per il film “Rush”) e proprio il centro dell’austriaco nel 1984. Otto i mondiali costruttori, sigillo marcato in cera rossa che spiega buona parte di un sogno divenuto realtà e proseguito entrando ben presto nella leggenda.

Alla morte del fondatore infatti, avvenuta il due giugno del 1970 sul circuito di Goodwood, il team ha successivamente attraversato momenti difficili, che hanno forgiato la tempra del team. Caratteristica che è rimasta intatta ancora al giorno d’oggi. Il team di Woking è infatti una delle realtà più all’avanguardia della F1, nonostante sia stato un team senza alcun appoggio dal settore automotive sino a qualche anno fa. Il crescente appeal tecnico della McLaren ha attratto numerosi talenti, che nel tempo hanno dato sfoggio delle loro qualità e che ha portato Fittipaldi, Prost, Lauda, Senna, Hakkinen, Hamilton – senza dimenticarci di Gilles Villeneuve al debutto su una M23 – a compiere atti eroici al volante di furie marchiate McLaren, spinte da centinaia di cavalli appena sotto i crini di alluminio o carbonio, in attesa del fantino giusto che le portasse a cogliere traguardi situati sull’Olimpo del motorismo sportivo.

Si sa, nello sport è spesso la caratura dell’avversario a determinare la grandezza delle vittorie del singolo. In questo caso possiamo affermare che McLaren e Ferrari siano stati stimoli sportivi a vicenda, che hanno portato la F1 di corsa, attraverso cinque decadi e che ancora trascinano lo spettacolo del “Circus” iridato nei circuiti di tutto il mondo. Bruce McLaren aveva un sogno. Ci ha provato, è rimasto deluso dai primi risultati, ha proseguito e perseguito i suoi scopi. Se siamo qui a celebrare i cinquant’anni del team, allora vuol dire che il sogno di McLaren è stato, è e rimarrà una sublime realtà, prendendo atto che Bruce, così com’è stato per i grandissimi del motorsport, ha sognato più forte e meglio di tutti gli altri.

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