F1 Story | Hockenheim ’94, il ritorno della Ferrari

Stagione 1994: dopo tre anni di digiuno, il popolo Ferrarista torna a sognare, grazie alla vittoria di Berger al GP di Germania.

Berger Hockenheim

Hockenheimring. Un nome che, solo a pronunciarlo, ti tremano i polsi pensando alla maestosità del circuito che fu. Un autodromo che, prima dell’evirazione di Tilke, faceva la differenza tra i veri uomini con gli attributi e i semplici piloti della domenica e regalava, a chi aveva il privilegio di sedere all’interno di una monoposto, la visione paradisiaca di cielo ed asfalto che si fondevano assieme ad oltre 350 km/h.

Nella disgraziata stagione 1994, la Ferrari 412 T1 disegnata da John Barnard affascinava più per le seducenti linee che per le prestazioni. Dopo le note vicende di Imola, anche il fascino venne meno a causa di un netto taglio delle forme delle pance che perdevano quel sensuale disegno ovale per passare ad un rigoroso disegno rettangolare.

La modificata 412 T1 B, nonostante le modifiche, non accennava a diventare competitiva. Troppo forte la Benetton Ford di Schumacher, irraggiungibile la Williams Renault di Hill. Anche l’affidabilità non giocava a favore del team di Maranello, spesso costretto ad abbandonare il palcoscenico per i più disparati guasti.

Eppure, il 31 luglio 1994,  i difetti di quella vettura e la sfortuna che sembrava perseguitare la Scuderia, si fecero da parte per consentire al pubblico presente in autodromo di gioire di una vittoria rossa. Già dalle qualifiche il glorioso V12 made in Maranello fece la differenza, spingendo le monoposto numero 28 e 27 davanti a tutti, con l’idolo di casa Schumacher ed il rivale prescelto Hill relegati in seconda fila.

La domenica, all’accensione del semaforo verde, le vetture scattarono prontamente ma, come spesso accadde nel tempio tedesco della velocità, la prima curva si trasformò in una trappola fatta di carbonio e propulsori. Il pubblico tedesco guardò attonito ben 10 vetture ritirarsi, nello specifico: le Minardi di Alboreto e Martini, le Lotus di Herbert e Zanardi, le Jordan di Irvine e Barrichello, le Sauber di Frentzen e De Cesaris, la McLaren di Hakkinen e la Tyrrel di Blundell. In pratica mezzo schieramento era bello che andato ed i proprietari dei team coinvolti rimasero inebetiti di fronte a quel costoso groviglio di arte moderna.

La direzione gara decise che, nonostante il caos, la gara poteva proseguire sotto lo sventolio frenetico delle bandiere gialle.

Nemmeno il tempo di gustarsi il primo giro di pista che la Rossa numero 27 di Alesi fu costretta al ritiro per il classico guaio meccanico. In testa restava la superstite vettura gemella di Berger, seguita da Schumacher e Hill. Al muretto box della rossa si tenevano incrociate le dita, sperando che la Ferrari dell’austriaco non avesse problemi di affidabilità e che Schumacher e Hill non lo azzannassero troppo rapidamente. Le preghiere degli uomini di Maranello furono presto ascoltate.

Sia la vettura di Hill che quella di Coulthard, rientrati ai box, persero un giro per un caos gestito in maniera poco british dal muretto di Sir Frank. Vittoria sfumata e non per demeriti della vettura.

Giro numero 15, rientra ai box la Benetton di Verstappen. Dopo il rifornimento, al momento del distacco del bocchettone di carburante, la benzina continuò a fuoriuscire toccando la carrozzeria rovente. In una frazione di secondo la monoposto verde – azzurra diventò una immensa palla di fuoco. Verstappen cercava di divincolarsi dall’abbraccio delle cinture di sicurezza che gli impedivano di scappare da quell’inferno. Fortuna volle che il box Benetton reagì immediatamente alla situazione di pericolo ed intervenne prontamente domando l’incendio e salvando il pilota olandese.

Passarono solo 5 giri e la vettura di Schumacher, rimasto ormai l’unico pretendente all’ambito trono di Berger, si ammutolì improvvisamente per un guasto al V8 Ford. Delusione nel volto del pubblico tedesco, gioia e timore negli occhi dei meccanici Ferrari.

L’inaffidabilità di quella vettura nata sensuale e poi trasformata in un ibrido, quel 31 luglio, decise di non scendere in campo per alterare un risultato atteso da ben 3 anni.

Berger riuscì a tagliare per primo il traguardo di quello storico circuito al volante della rossa numero 28. La Ferrari aveva finalmente interrotto il digiuno di vittorie e sotto il podio, Todt e tutti i ragazzi di Maranello assaporarono finlamente il dolce gusto dello champagne.

Lascia un commento