GP Stati Uniti 2014: le pagelle all’O.K. Corral

A cavallo della sua splendida purosangue d’argento, Lewis Hamilton galoppa verso la gloria iridata, beffando Nico Rosberg in pista e seminandolo tra i canyon della classifica. Chiude l’assalto alla diligenza Daniel Ricciardo, che porta via quanto resta del podio alle due Williams, senza sparare un colpo.

mercedes-vittoriosa

Lewis Hamilton 10 – Una vittoria che è una pura espressione di volontà. La quinta consecutiva, la decima stagionale, la trentaduesima della carriera. Lewis Hamilton ora ci crede davvero in questo mondiale e lo ha dimostrato in pista, senza che elementi esterni inficiassero un trionfo adamantino. Superate le rogne del sabato, il pilota inglese ha stretto i denti in un primo stint difficilissimo sulle Soft spiattellate in Q2, durante le qualifiche. Poi, montate le Medium, la musica è cambiata: la sua rincorsa alla testa della corsa è finita al giro 24, curva 12, quando ha sorpreso Rosberg spalancando il DRS e senza troppi complimenti lo ha passato, e poi staccato. Al traguardo, come in classifica. Con un +24 nel mondiale e più del doppio delle vittorie del suo sfidante, se la beffa arrivasse per i doppi punti di Abu Dhabi, Lewis avrebbe da lanciare strali più che nel 2007… E’ QUASI FATTA

Nico Rosberg 8 – Secondo Toto Wolff, la sconfitta di misura sarebbe frutto di un atteggiamento troppo cauto nello stint centrale su gomme medie. Secondo la sua personale valutazione, il sorpasso di Hamilton sarebbe arrivato per un errore nel gestire i bottoni che regolano i sistema di rilascio dell’energia, il Kers e l’Ers. Episodio o atteggiamento sbagliato, o entrambe le cose, la sensazione è che dal Gp del Belgio Nico Rosberg abbia staccato la spina: lo dicono i risultati in pista, con un parziale di 0-5 che gli lascia margini sempre più stretti per la conquista del titolo iridato. Così, ad Austin il tedesco non è riuscito a capitalizzare una splendida pole position e una prima parte di gara senza macchia, mancando il colpo proprio nel momento in cui il bersaglio era vicinissimo. Come direbbe Clint Eastwood: che ti succede Nico, ti trema la mano o forse hai paura? AL CUORE, Nico, al cuore, altrimenti non riuscirai a fermarlo! (cit.)

Daniel Ricciardo 9 – L’australiano della Red Bull, una volta di più, ci insegna che non bisogna lasciarsi ingannare dal suo sorriso gioviale e dalle trovate balorde (sì, è proprio di quel pizzetto tremendo che stiamo parlando…): se promette, non è mai a vuoto. Sabato pomeriggio aveva detto che il podio era fattibile. Vista la velocità della Williams, in pochi ci avevano creduto. Invece, una volta di più, ha portato a casa la missione. Chiave di volta di questo terzo posto è un passo gara invidiabile sia su gomme Soft, che su gomme Medie. L’avanzata nei confronti delle due Williams si è costruita a suon di ritmo e grazie a una strategia intelligente ai box: due stop, due undercut. Il primo ai danni di Bottas, il secondo di Massa. Per gradire, c’è stato anche il sorpassone a Fernando Alonso alla Curva 1, alla ripartenza dopo il regime di safety car: finta all’esterno ed entrata in tackle all’interno, Ricciardo si è ripreso con gli interessi dall’ennesima partenza disastrosa, unico punto debole di questa straordinaria stagione 2014. Piede freddo, cuore caldo. Largo al CHARLES BRONSON del COTA

Felipe Massa 7,5 – Com’è ormai tradizione, il box ci mette del bello e del buono per complicargli l’esistenza e fargli mancare un podio tutto sommato fattibile. Dopo uno stint centrale su gomme Soft che non paga quanto dovrebbe, perché Ricciardo (su gomme medie) tiene lo stesso ritmo e anticipa il suo secondo stop, la seconda sosta ai box del brasiliano dura un’eternità: 3.7 secondi. Sufficienti perché l’australiano della Red Bull gli sfrecci davanti in uscita dalla pit lane, facendo “ciao ciao” con la manina. La prende sportivamente: “abbiamo allungato sulla Ferrari”. MOTIVATORE

Valtteri Bottas 6,5 – Per la prima volta dopo tante gare, manca l’appuntamento. Un problemino con la frizione lo pianta in partenza: perde la posizione su Felipe Massa e quasi quasi anche Alonso gli tira uno scherzetto. Il quinto posto è frutto di un’andatura poco brillante: la gestione del degrado degli pneumatici è complicata e la strategia non lo soddisfa fino in fondo. SPENTO

Fernando Alonso 7 – La F14T arranca come una bagnarola con mare forza 9, ma l’asturiano ne cava fuori il meglio possibile (che non è molto, ma è meglio di niente). Al traguardo arriva esattamente da dove è partito: sesto, con più di novanta secondi di ritardo dalla vetta. Nel mezzo ci sono uno scatto felino al via, una battaglia tra leoni insieme a Jenson Button (probabilmente l’episodio più esaltante di tutta la gara, anche se si lotta solo per un’ottava posizione), uno sprint finale che rischia di finire in tragedia: con Vettel che arriva di gran carriera alle sue spalle, lo spagnolo della Ferrari passa gli ultimi due giri a gestire le vibrazioni spaventose delle sue gomme soft. La storia d’amore (e d’odio) con Maranello sarà anche finita, ma el Matador su una cosa non mente: “ci sono decine di milioni di dollari in palio per i piazzamenti del campionato costruttori. Quindi, che la macchina vada forte o meno, bisogna fare punti sempre per aiutare la Ferrari. Ed è quello che sto facendo”. FINO AL NOVANTESIMO

Sebastian Vettel 8,5 –  In una gara da degna epopea del West, il tedesco della Red Bull – partito dai box per l’utilizzo della sesta Power Unit – ne passa di cotte e di crude, salendo e scendendo la classifica, fermandosi a cambiar gomme un numero di volte pari ad x elevato ad n (due soltanto nei primissimi giri, causa probabile foratura da detrito…) Passa dalla disperazione più nera per non riuscire ad avere la meglio sulla Sauber di Gutierrez, alla cavalcata trionfale del finale. Con un assetto molto scarico che inizialmente non paga, inchiodandolo nel traffico a un ritmo catastrofico da 1’46’’ al giro, Vettel ritrova se stesso dopo il terzo stop e raggiunge il massimo dell’ispirazione su gomme soft, nel finale. Dal giro 49 al 56 rimonta dalla quattordicesima alla settima posizione, arrivando a cinque decimi dal sesto posto. Per quello che può valere, fa anche segnare il giro più veloce (1’41’’379) di una gara dal sapore un po’ amaro, come questa lunga stagione di addio alla scuderia che l’ha visto diventare un uomo e un campione. INSTANCABILE

Kevin Magnussen 6 – Porta a casa un bottino tutto sommato discreto, considerati i risultati non esaltanti della strategia pensata dal box McLaren nelle fasi concitate della safety car (un giro sulle soft e poi rientro al volo, per due lunghissimi stint su gomme medie). Dopo un bello scatto al via, Kevin piomba nelle retrovie causa sosta al box, ma resiste stoicamente all’attacco del compagno di squadra, a quello di Vettel e a quello dei commissari, che tentano – senza successo- di appioppargli un unsafe release (è passato troppo tempo dall’ultima penalità…) La strenua resistenza di Jenson Button, nel finale, gli consente di restare in zona punti alla larga dal micidiale trenino composto dalle due Lotus e da Vergne. GRAZIATO

Pastor Maldonado 7vobis annuntio gaudium magnum! Dopo una stagione terrificante costellata di problemi tecnici, bachate ai muretti di tutto il globo e fantozziani black out della Power Unit Renault montata sulla sua Lotus, Pastor Maldonado riesce finalmente ad andare a punti. E questo nonostante due penalità di cinque secondi di stop&go e un rischio carambola nel finale con Jean Eric Vergne, rimbalzato senza troppi complimenti. HABEMUS PASTOR!

Jean Eric Vergne 7,5 – Strappa a Fernando Alonso la maglia dell’uomo del giorno Sky (e chi segue Sky saprà che questo è un evento..) e al pubblico di Austin un’ovazione quando beffa Romain Grosjean (sua bestia nera per tutta la gara) alla curva1 del giro 51, frenando tardissimo e piantandogli una sportellata da altri tempi. Neanche a dirlo, i commissari non gliela perdonano. Poco male: il francesino porta la Toro Rosso a punti dopo un’altra gara ricca di azione e sorpassi, nonostante una partenza dalle retrovie e una collezione di penalità (due, anche per lui). E’ l’ennesimo telegramma inviato a zio Helmut, dopo il frettoloso benservito estivo riservatogli senza troppa grazia. Ma stavolta è rinforzata dal FUROR DI POPOLO italico: Marko, salvalo!

Romain Grosjean 5,5 – Per tutta la gara se la vede con il connazionale della Toro Rosso, al margine della zona punti. Ma pretende un po’ troppo dalla sua Lotus, e nel finale, una distrazione gli è fatale: Vergne non solo non lo perdona, ma si porta a casa anche la sua ala anteriore, costringendolo ad arrivare sui pattini al traguardo. La prende CON FILOSOFIA (e riesce pure ad avere indietro l’ala).

Jenson Button 6 – perché si è sacrificato per la patria. Partito dietro per una penalità, Jenson ha combattuto per tutta la corsa con un degrado folle delle gomme medie, ben poco agevolato dal suo box, cristallizzato sulla scelta di andare sulle due soste. Tutto ciò non gli ha impedito, con 20 giri sul groppone, di vendere carissima la pelle a Fernando Alonso – che arrivava alle sue spalle con pneumatici freschi freschi- né di resistere strenuamente nel finale ad un assalto inverecondo da parte di metà schieramento. Il suo gesto ha consentito a Kevin Magnussen di accumulare il distacco sufficiente per arrivare agevolmente ottavo a traguardo. ALTRUISTA

Kimi Raikkonen 4 – Le cause del sottosterzo di cui continua a lamentare gli effetti nefasti sono parte del QUARTO MISTERO DI FATIMA. Ma è davvero difficile credere che le sole magagne all’anteriore siano frutto di questa ecatombe, che ha visto il finlandese piombare dalla settima alla tredicesima posizione, senza colpo ferire. Chi scrive si illude che sia stata colpa della botta di Sergio Perez.

Sergio Perez 2 – E proprio nel Gran Premio di casa (vive a Houston) Checo ritrova i migliori fasti del suo ardore giovanile, facendo strike prima su Kimi Raikkonen (“non avevo idea che fosse lì” – e in effetti non ti aspetti che al primo giro, dietro una curva cieca, possa esserci un pilota..), poi sul povero Adrian Sutil, nell’unica giornata di questo balordo 2014 in cui poteva sperare di andare a punti. NO COMMENT

L’ANNUNCIATO BOICOTTAGGIO finito a tarallucci e vino 4 – Dopo una conferenza stampa infuocata venerdì pomeriggio, con Vijay Mallya – boss Force India – che non le ha mandate a dire a Toto Wolff e al budget da 400 milioni di euro della Mercedes (“Se possiedi un team, sei quello che firma gli assegni. Se guidi un team, sei quello che gli assegni gli riceve.. è normale che ci sia una divergenza di opinioni”), lanciati strali qua e là, i vertici di Lotus, Force India e Sauber, autoproclamatisi paladini dei diritti dei piccoli team contro lo strapotere anticoncorrenziale dello Strategy Group, si sono tutti ritirati di buon ordine. E’ bastato che zio Bernie promettesse loro qualche ossicino, facendo mea culpa. Tanto valeva evitare questo “al lupo, al lupo”. AL VENERDI’ LEONI, ALLA DOMENICA…

SAUBER 3 – La team principal Monisha Kaltenborn negli ultimi due anni è stata in prima linea nel denunciare a intervalli mensili la deriva di questa Formula  1, ormai sempre più lontana dallo sport. Coerentemente con questa visione, è arrivato sabato l’annuncio dell’ingaggio di Marcus Ericsson, il rookie più ectoplasmatico regalatoci dalla GP2 nell’ultimo lustro. 18 MILIONI di buone ragioni

GP degli USA 7 – Vedere vuoti i box di Marussia e Caterham è stato triste. Ma, volendo mettere da parte la questione “crisi finanziaria” e focalizzandoci sul rodeo andato in scena ad Austin, il Gran Premio degli Stati Uniti è stato una bella corsa. La safety car ad inizio gara e il conseguente valzer delle strategie, unito ai begli angoli del Circuit of The Americas, ci hanno regalato un Gran Premio divertente e pieno di sorpassi. YEEHAW!

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