F1 Story | Abu Dhabi 2010, il più famoso harakiri Ferrari

Alonso perse il titolo mondiale al primo anno di permanenza a Maranello. Dopo cinque anni, il divorzio tra le parti è ormai alle porte e prenderà forma proprio su quello stesso circuito che segnò l’inizio dell’era in Rosso.

AbuDhabi2010

La fine dell’epoca alonsiana a Maranello ha data e luogo già noti: 23 novembre 2014, Abu Dhabi. Al termine di una stagione avara di soddisfazioni per il team del Cavallino Rampante e per il pilota di Oviedo, il matrimonio tra i due giungerà al termine. E, ironia della sorte, il divorzio si consumerà proprio su quel circuito che ha segnato profondamente l’animo di Fernando e degli uomini della Scuderia.

La memoria ci riporta indietro al 2010, precisamente il 14 novembre di una calda notte orientale. Sul circuito cittadino di Abu Dhabi, Fernando Alonso arrivò con un vantaggio in classifica di otto punti sul diretto inseguitore Mark Webber, e di ben quindici punti sul terzo classificato Sebastian Vettel. Anche Lewis Hamilton era matematicamente della partita, ma il distacco di ventiquattro punti dal leader della classifica, rendeva difficilmente realizzabile il coronamento del sogno iridato.

Le qualifiche videro imporsi Vettel davanti ad Hamilton, con Alonso terzo e Mark Webber quinto. Tutti i protagonisti di quella incredibile stagione erano lì, pronti a giocarsi ogni chance pur di conquistare lo scettro di campione del mondo.

Lo spegnersi dei semafori vide il tedesco della Red Bull scattare perfettamente dalla prima posizione, seguito come un’ombra da Hamilton e da Webber. Non fu così rapido Alonso, sopravanzato dalla seconda McLaren di Jenson Button. Alle spalle dei primi 5 si scatenò subito il caos. Michael Schumacher si girò alla curva 6, restando fermo in piena traiettoria. La grigia Mercedes fu schivata da tutto il gruppo, meno che dalla Force India di Vitantonio Liuzzi che centrò in pieno la monoposto tedesca andando a sfiorare col musetto il casco del sette volte campione del mondo.

Auto incastrate l’una sull’altra, detriti di carbonio sparsi ovunque. L’uscita della safety car non tardò ad arrivare. Ripulito il tracciato, Vettel deliziò il pubblico presente con la sua specialità, i giri veloci. Un ritmo insostenibile per tutti, tranne che per Lewis Hamilton, incollato agli scarichi della Red Bull di quel ragazzino che non mollava un centimetro di pista.

Alle spalle dei due fulmini, Button, Alonso e Webber si controllavano a vicenda, con l’australiano guardato a vista dallo spagnolo data la situazione di classifica.

Il fato quel giorno era presente in circuito e si manifestò al giro numero 10. Webber, in uscita di curva, baciò con la posteriore destra il muretto. Un tocco secco, deciso, che non comportò danni strutturali alle sospensioni della Red Bull, ma costrinse Mark a rientrare ai box al giro seguente per un cambio gomme.

La mossa fu notata dai box Ferrari. Fu un attimo, una distrazione fatale, un sottovalutare tutte le ipotesi complesse che quel finale di stagione intricato prospettava agli uomini del muretto. Giro numero quindici, Fernado Alonso viene richiamato ai box per anticipare la sosta e copiare la gara di Webber. Fu quella decisione che si trasformò ben presto in un harakiri Ferrari.  Lo spagnolo uscì dalla pit lane al dodicesimo posto, davanti all’australiano della Red Bull,  ma intasato nel traffico delle vetture più lente. Giro dopo giro, Alonso riuscì a colmare il gap con la Renault di Petrov, rivelatosi nel corso della gara un avversario quantomai coriaceo in quella occasione.

I giri numero ventitre e ventiquattro videro rientrare per la sosta programmata sia Vettel, sia Hamilton, con l’inglese alla disperata ricerca di un sorpasso ai box non riuscito. In testa alla gara salì Jenson Button, mentre strepitoso terzo fu Robert Kubica su una modesta Renault. Fu proprio il pilota polacco l’incubo di Hamilton in quella occasione. Il driver inglese, infatti, era riuscito, dopo il pit stop, a chiudere il gap da Kubica, ma la conformazione del tracciato orientale rendeva quasi impossibile ogni minimo tentativo di sorpasso.

Questa lezione la impararono nel corso dei giri anche dal box Ferrari. Petrov si mostrò un muro invalicabile quel giorno. Alonso, infatti, cercava in ogni modo di mettere pressione al russo per indurlo all’errore, per trovare un minimo spiraglio dove infilare il muso rosso della sua vettura. Purtroppo, ogni tentativo risultava vano ed ogni giro che passava l’angoscia assaliva l’alfiere della Scuderia ed il box di Maranello, sempre più consapevoli di aver commesso un errore imperdonabile.

Al giro numero trentanove, Button si fermò per il pit stop, dando via libera a Vettel, tornato in prima posizione ed a Hamilton, in seconda. Fu quello il momento in cui ai box Red Bull capirono che il miracolo stava per compiersi. Il loro pilota, terzo nella classifica generale, aveva ormai un margine tale da poter mettere le mani sul trono iridato. Soltanto allo sventolare della bandiera a scacchi il sogno divenne realtà. Sebastian Vettel aveva compiuto il balzo in classifica necessario a sopravanzare l’odiato compagno di squadra ed Alonso. L’incredulità urlata al team via radio è passata alla storia, così come è passato alla storia il gesto di stizza di Alonso a Petrov nel giro di rientro: una mano di rosso vestita agitata all’aria, come per mandare a quel paese un intruso che nulla aveva a che vedere in quella contesa finale.

Il rientro ai box fu mesto per Fernando. Seduto sugli scalini del motorhome Ferrari, con la testa china, circondato dai suoi uomini fidati, in silenzio a riflettere su quella tattica troppo conservativa. Un turbine di pensieri avvolgeva la mente dello spagnolo, mentre l’incredulità e lo sgomento si spargeva velocemente tra i ragazzi del box di Maranello e, soprattutto, tra i pensieri di Chris Dyer, autore di quella scelta suicida e, pochi giorni dopo, vittima sacrificale tra le mura della Gestione Sportiva.

Si chiude proprio su quel circuito il ciclo ferrarista di Alonso. Cinque anni di tormenti, di poche gioie e tante delusioni. Due mondiali sfiorati all’ultima gara ma, per un beffardo scherzo del destino, svaniti quando sembravano già stretti tra le mani del pilota di Oviedo. Un matrimonio che non ha portato i frutti sperati, specie per la cronica carenza Ferrari di realizzare vetture all’altezza della concorrenza targata Red Bull prima e Mercedes poi.

Finisce un’era fatta di critiche e di toni sempre più accesi anno dopo anno; ne inizia un’altra che vedrà alla guida della rossa quel tedesco che, proprio ad Abu Dhabi, riuscì nell’impresa impossibile.

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