F1 Story| Brawn Gp, la sorpresa dei test 2009

Nei test i tempi non contano, è vero. Ma ogni tanto arriva l’eccezione…

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I tempi dei test contano poco“. Questo il motto che puntualmente, ad ogni inizio di stagione, viene ripetuto in maniera quasi ossessiva da tutti gli addetti ai lavori. L’euforia di un giro veloce che spesso ha esaltato i tifosi usciti fuori dal letargo invernale, non sempre è stata seguita da altrettanta felicità quando l’unico cronometro che conta, quello del weekend di gara, ha scandito impietoso la cruda realtà dei numeri.

Tuttavia vi è sempre l’eccezione che conferma la regola. L’anno è il 2009 e l’oggetto del nostro racconto è la stupefacente Brawn Gp.

Una premessa è d’obbligo. Il mondo della Formula 1 decise, per quella stagione, di adottare una rivoluzione regolamentare epocale che influenzò notevolmente il design delle monoposto per favorire i sorpassi, ritenuti assai carenti negli anni precedenti. Tra i membri dell’allora commissione incaricata di redigere il regolamento tecnico vi era Ross Brawn, responsabile all’epoca del team Honda, che sfruttò l’occasione di poter conoscere in anteprima le zone grigie del regolamento per poterle sfruttare a suo favore.

Una conoscenza che non convinse, tuttavia, il team nipponico a proseguire il suo impegno nella massima formula. Spaventata da una crisi economica che aveva investito pesantemente il mercato automobilistico, il 4 dicembre 2008 la Honda decise di abbandonare il progetto Formula 1 lasciando nel panico l’intero team. Le estenuanti trattative avviate da Ross Brawn con i giapponesi portarono ad un salvataggio in extremis grazie all’acquisto della squadra da parte dell’ingegnere inglese, si dice per la cifra simbolica di una sterlina.

Quando le monoposto bianco – gialle marchiate Brawn Gp e motorizzate Mercedes scesero in pista per la prima volta, la concorrenza si mostrò scettica sul potenziale di quelle vetture. Uno scetticismo che durò ben poco.

Le candide auto di Button e Barrichello mostrarono subito un carico aerodinamico, unito a grande affidabilità, semplicemente inarrivabile per gli altri team. Già il secondo giorno di test, Rubens compì ben 111 giri conquistando il terzo crono della giornata, mentre Button, subentrato al compagno di team il giorno seguente, realizzò il miglior tempo accompagnato da ben 130 tornate del circuito di Barcellona. Anche i successivi test svoltisi sul circuito di Jerez mostrarono una superiorità imbarazzante delle monoposto di Button e Barrichello, con il pilota britannico in grado di chiudere la sessione al primo posto in classifica con un vantaggio di addirittura due secondi su Rosberg, primo degli inseguitori.

Il sospetto che le Brawn – Mercedes girassero sottopeso per attrarre sponsor da sfoggiare sulle immacolate livree aleggiò subito nel paddock. Tutti ritenevano impossibile che la cenerentola del circus, salvata in extremis dal pacioso Ross, potesse essere la vettura da battere in quella stagione. Tutti, tranne i piloti consapevoli dell’enorme fortuna capitata loro.

Il 13 marzo 2009, ultima giorno di test prestagionali, Rubens Barrichello scese dalla monoposto con un enorme sorriso e dichiarò: “Mi chiedevano se temevo per la fine della mia carriera, ma io rispondevo che avrei guidato una macchina in F1 anche nel 2009. Sono ancora molto veloce. Anche quando nessuno poteva darmi garanzie sapevo che Interlagos non sarebbe stato il mio ultimo GP. Ho vissuto i tre mesi della mia vita più calmi di sempre, non avevo nessuna pressione, potevo approfittare nel dedicare più tempo alla mia famiglia. La mia forza di volontà viene dagli anni passati in Ferrari. C’è gente che vuole ancora credere che io non sia veloce, ma quelli che sono sempre stati con me, a cominciare da Ross Brawn, sono convinti dell’opposto e lo dimostreremo”. 

Si pensava alle solite dichiarazioni cui Rubinho aveva abituato nel corso degli anni. L’errore di valutazione fu enorme. La Brawn non girava affatto sottopeso. La vettura era in configurazione regolare, ma proprio quel regolamento tecnico scritto da Ross Brawn che consentì allo stesso progettista di realizzare un doppio diffusore tanto efficace quanto criticato.

Quando le Brawn dominarono in maniera imbarazzante il Gran Premio di Australia, infuriò una guerra tra i team rispettosi della lettera regolamentare e la cosiddetta “banda del buco” composta da Brawn Gp, Toyota e Williams, che si concluse il 15 aprile, data in cui la Federazione Internazionale dell’Automobile dichiarò perfettamente legale l’escamotage tecnico. Ben presto i membri della Fota si resero conto non soltanto che avevano aiutato a resistere in Formula Uno colui che li avrebbe fregati in maniera geniale, ma soprattutto che quelle inarrivabili prestazioni mostrate nei test invernali non erano un assolutamente un bluff.

La rincorsa fu disperata da parte di tutti. Soltanto la Red Bull con Sebastian Vettel riuscì ad impensierire nel finale di stagione un Jenson Button impeccabile per tutto l’anno. L’inglese, alla guida di una vettura priva di sviluppi tecnici significativi, riuscì a gestire, con calma e sangue freddo, l’enorme vantaggio di punti accumulato nel corso della stagione e a laurearsi campione del mondo.

La cenerentola Brawn riuscì nell’impresa di vincere anche il mondiale costruttori nell’anno dell’esordio.

Durò un solo anno quella folle avventura che, siamo certi, ancora oggi farà mangiare le mani ai poco lungimiranti responsabili Honda. A fine anno, il simbolico investimento di una sterlina compiuto da Ross, si trasformò in un assegno con numerosi zeri versato dalla Mercedes nelle tasche del tecnico inglese per subentrare nella struttura e rientrare definitivamente in Formula 1.

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