Capelli, dal calcio alla F1 anche grazie a Ken Tyrrell

Storico commentatore sportivo della RAI e fresco presidente dell’Automobile Club di Milano, oggi chiamato nella complessa impresa di salvare il Gran Premio di Monza, Ivan Capelli, in un’intervista al mensile inglese F1 Racing, rivive gli anni della sua carriera automobilistica, dal calcio ai kart, alla Formula 3 e 3000, fino alla Formula 1, offrendo un indimenticabile affresco del mondo delle corse di qualche tempo fa. In questa prima parte, il ricordo dei primi passi con la complicità del padre e di Ken Tyrrell, che gli insegnò davvero tanto…

ivan-capelli

Ivan Capelli: “Ho giocato a calcio dai 10 ai 14 anni. Come tutti i bambini italiani, sognavo di andare in Nazionale. Mio padre era un cameraman, prima di iniziare la sua attività nel campo della pubblicità, soprattutto sportiva. Uno dei suoi clienti era Parmalat, che sponsorizzava la Brabham e diversi piloti, tra cui Niki Lauda e Clay Regazzoni, quando erano in Ferrari.
Un giorno papà andò a Maranello per fare delle riprese e mi portò con lui. Avevo 13 anni e mi piaceva il suo lavoro. Ermanno Cuoghi era il meccanico di Lauda. Eravamo nel garage sul circuito di Fiorano e Cuoghi disse: ‘Vieni con me. Ti do l’opportunità di sognare. Ma non toccare niente’. Mi fece salire a bordo della Ferrari 312T”.

D: “Che anno era?”
I.C.: “Era il 1977, sedevo nella macchina di Niki Lauda, lo sterzo proprio di fronte a me con il Cavallino Rampante nel mezzo. Non toccai nulla. Stetti là seduto, a sentire il profumo del motorsport: il carburante, l’olio, la gomma. Incredibile. Senza dire niente a mio padre, cominciai a comprare riviste di automobilismo. Leggevo, disegnavo macchine, comprendevo la tecnologia usata in F1… cercavo di avvicinarmi a quel mondo”.

D: “Pensavi che avresti corso, allora?”
IC: “Non pensavo niente del genere, ma rimasi affascinato. La passione crebbe quando accompagnai mio padre al Gran Premio d’Italia di Monza nel 1977. Allora non c’erano le restrizioni attuali, e io ero dietro il guardrail con le macchine che passavano a 50 metri da me. Ora provavo sentimenti anche più intensi. Ma ancora non dicevo niente a mio padre. Un giorno, mentre guardavamo la TV, c’era una corsa di kart. Feci a mio padre: ‘Mi chiedo come sia guidare una macchina come quella’. Non disse nulla. Dopo circa 15 giorni avevamo un kart, con motore, gomme, tutto. Mio padre era più folle di me! Ma avevamo comprato il peggiore kart possibile, perché non potevo guidarlo: era un 125cc con le marce. Era come iniziare con una Formula1. Andammo in un kartodromo e a mio padre dissero: ‘Lei è folle. Ha comprato un kart che non può usare. Forse può andare bene per lei, certo non per suo figlio’. Ci facemmo spiegare cosa dovevamo fare, come si guidava, come mio padre dovesse assistermi come meccanico. Passammo un intero inverno a organizzarci. È così che ho cominciato”.

D: “Quando finalmente hai guidato il kart, ti è piaciuto?”
IC: “Ricordo come fosse ieri il primo giro al circuito di San Pancrazio, a Parma. Giravo con un gran sorriso da idiota stampato in faccia. Fui molto fortunato, perché incontrai un pilota, Pietro Sassi, che partecipava alle competizioni più importanti. Aveva un bravissimo meccanico, Vittorio. Pietro mi diede moltissimi suggerimenti su come guidare. Vittorio mi insegnò a percepire le differenze e a trovare il giusto setup. Furono sorpresi dalla mia consistenza nei tempi sul giro e questo gli fece pensare che valeva la pena spendere un po’ di tempo per aiutarmi. Non avevo molto soldi da investire. Lavoravo per un negozio collegato al circuito e testavo le cose nuove che portavano, provando i motori per altri piloti. Imparavo sempre e tanto, perché a quell’età sei come una pagina vuota. Registri tuto, ricordi qualsiasi cosa ti venga detta.
Vittorio divenne il mio meccanico. Verso la fine della mia prima stagione nel 1978, mi disse: ‘E’ tempo che tu lo veda’. Acconsentii a volare all’Estoril. Vittorio non mi disse di quale pilota si trattava, ma io guardai e notai un ragazzo che guidava in un modo totalmente diverso dagli altri. Aveva un casco giallo. Era Ayrton Senna. Capii subito che doveva diventare il mio riferimento. Successivamente, nel 1981, correva nel campionato del mondo a Parma. Corremmo uno contro l’altro ed era proprio davanti a me in pista”.

Ivan Capelli (27) alle spalle di Stefano Modena (16) - Parma
Ivan Capelli (27) alle spalle di Stefano Modena (16) – Parma

 

D: “Per gli standard odierni, hai cominciato a competere nei kart piuttosto tardi: nel 1978 avevi 15 anni”.
IC: “Si, oggi cominciano a otto anni! Avevo 22 anni quando sono arrivato in F1; ora ne bastano 16”.

D: “Troppo giovani, secondo te?”
IC: “Oggi non è come era in passato. Le macchine sono più semplici”.

D: “Certamente, paragonandolo al tuo primo test in F1 sulla Brabham-BMW turbo”
IC: “Si, la BT53. Fu a Brands Hatch. Ti immagini quella macchina che gira su quella pista? Era solo un circuito piccolo, ma era abbastanza. La Parmalat sosteneva la Brabham e fui invitato da loro perché stavo vincendo il campionato italiano di Formula 3. Dovetti fermarmi dopo 10 giri, come mi era stato detto. Herbie Blash era il team manager, e disse che dovevo lasciare la vettura a Davy Jones. Dissi a Herbie che avrebbe dovuto aiutarmi ad uscire. Ero letteralmente incollato allo sterzo! Rimasi scioccato dalla potenza di quel motore. Ricordo che mi chiesi perché mai mi fossi cacciato in una situazione del genere: era folle guidare quella macchina su quel tipo di tracciato”.

D: “Infatti, la tua prima esperienza in Formula1 fu con la Tyrrell. Come accadde?”
IC: “Correvo in Formula 3000 e feci una bella gara a Donington Park, l’ultima del campionato 1985. Avevo avuto un problema in qualifica con il cambio: partii dal fondo della griglia e chiusi terzo sul bagnato. Ken Tyrrell era presente a quella gara e mi incontrò dopo di essa. Disse che avevo fatto una gran bella corsa, era stato veloce, e così via. Non disse altro”.

D: “Tipico di Ken. Ma sapevi che cercava un pilota dopo che Stefan Bellof era morto in una gara poche settimane prima”.
IC: “E’ vero. Vivevo ancora in casa dei miei genitori. Non molto tempo dopo quella gara, una mattina presto, mia madre rispose a una chiamata. Era qualcuno che parlava inglese, che lei non capiva, e mi passò il telefono. La voce dall’altro capo disse: ‘Sono Ken Tyrrell’. Risposi: ‘Sì sì. E io sono Niki Lauda. Molto divertente’. I miei amici facevano sempre scherzi di questo genere e fu solo quando replicò con un ‘No, sono Ken Tyrrell’, che capii. Mi chiese se volevo correre per lui al GP d’Europa a Brands Hatch. Gli dissi che l’avrei fatto, ma volevo prima provare la macchina. Mi rispose: ‘Abbiamo soltanto motori disponibili per le corse, non puoi provarla’. Dissi: ‘Ok, ma ho fatto solo pochi giri su una Formula1 un paio di anni fa sulla pista più piccola di Brands Hatch. Forse potrei fare un test con una vettura di Formula3 per imparare il circuito del GP?’. ‘Non ci sono soldi e non c’è tempo. Vuoi correre o no?’ ‘Non ho soldi’. ‘Non preoccuparti. Devi solo pagarti il viaggio e l’hotel. Noi penseremo a tutto il resto’. ‘Ok, vengo!’”.

Ivan Capelli - GP Europa 1985 - Tyrrell

D: “I piloti dicono sempre che Ken fosse un fantastico maestro per i giovani”.
IC: “Incredibile. Ho imparato così tanto. Era così professionale il modo in cui faceva il suo lavoro. Ho diverse memorie che lo testimoniano. Il venerdì di quel GP, feci un grosso errore in uscita dell’ultima curva, la Clearways. Ero in quarta marcia, spinsi troppo e persi il controllo. Andai in testacoda quattro o cinque volte, proprio davanti ai meccanici, che dovettero rientrare le pitboards! Tornando in pitlane, mentre mi avvicinavo al mio box, non c’era nessuno. Tutti erano dentro il garage, tranne Ken. Era lì, in piedi, che mi aspettava. Mi fece segno di uscire dalla macchina. Ero davanti lui – Ken era alto quasi due metri – e lo guardavo. Mi disse di togliermi il casco, il passamontagna e infine i tappi per le orecchie. Ero pronto per riceverne una…”

D: “Una strigliata?”
IC: “Era quello che mi aspettavo. Invece mi guardò negli occhi e mi chiese cosa fosse successo. Gli dissi: ‘Ho fatto un errore perché forse le gomme non erano abbastanza calde, e ho forzato’. Rispose: ‘Ora ti rendi conto del rischio che hai corso ad andare in testacoda in quel modo?’. Gli dissi di sì. Annuì e mi invitò a rimettermi il casco e risalire in macchina. Solo allora i meccanici tornarono fuori per lavorare sulla macchina”.

D: “E l’altra storia?”
IC: “Durante le qualifiche, Keke Rosberg era in un giro lanciato sulla sua Williams e io mi trovai nel mezzo della sua traiettoria. Gli rovinai il giro. Mi affiancò e cominciò a gesticolare, cercai di fargli capire che mi dispiaceva, che non lo avevo fatto apposta. All’angolo prima del tornante, ero dietro la macchina di Keke e lui frenò. Gli franai addosso. Tornai alla pitlane e, quando Ken mi chiese perché l’ala anteriore era rotta, gli spiegai cosa era successo. Dopo le qualifiche, mi disse: ‘Vieni con me, ora andiamo a parlare a Keke’. Gli feci: ‘No, no, va tutto bene’. Ma Ken disse che no, non andava bene. Andammo al garage della Williams e Ken gli disse: ‘Sei un pilota con esperienza e devi insegnare a questo ragazzo come ci si comporta in pista. Non devi fare queste cose’. Cominciarono a litigare e Keke disse: ‘Questo ragazzo è un fo***to idiota’. E Ken rispose: ‘No, sei tu il fo***to idiota’. Riuscite a immaginarvi che qualcosa del genere possa accadere ai giorni nostri?
La gara successiva fu ad Adelaide, l’ultima della stagione, e Keke vinse. Finii quarto, con il sedile rotto e un gran mal di schiena. In regime di parco chiuso Keke venne ad aiutare il dottore a tirarmi fuori dalla macchina prima di salire sul podio. Forse aveva capito di aver fatto male a Brands Hatch. O forse si ricordò della lezione che Ken Tyrrell gli aveva dato…”

[Continua…]

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