F1 Story | Presidenza Ferrari, una continua lotta di potere

La Ferrari fa un passo indietro e torna alle lotte di potere interne che hanno destabilizzato l’ambiente agli inizi degli anni ’90. Sarà nuovamente così con l’uscita di Montezemolo?

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“Non vinciamo da sei anni e la cosa mi da un fastidio tremendo”.  Con queste parole lapidarie,  Sergio Marchionne ha ufficialmente dichiarato guerra al presidente della Ferrari Luca di Montezemolo. Una guerra che ha il sapore del déjà vu per quegli appassionati con qualche capello grigio e che ricorderanno le lotte intestine e gli sgambetti tra dirigenti Ferrari e Fiat, per agguantare la poltrona di presidente del gruppo automobilistico più famoso al mondo.

Agosto 1988, Enzo Ferrari lascia il mondo terreno per entrare nell’olimpo del mito. Già da 4 anni al vertice del gruppo di Maranello siede Vittorio Ghidella, uomo d’oro della Fiat, artefice di successi commerciali irripetibili e, con la Lancia nei rally, di vittorie memorabili. L’uomo giusto al posto giusto, ma con l’onta di non aver riportato la Ferrari alla vittoria nel mondiale, sfiorata con Michele Alboreto nel 1985 per la nota storia del cambio di fornitore di turbine a stagione in corso che pregiudicò una affidabilità certa.

Nonostante la carenza di titoli, Ghidella aveva ben chiare le idee per far tornare al successo il Cavallino Rampante. Primo: ingaggiare un progettista valido. Il nome buono fu quello di John Barnard, pagato a peso d’oro.  Secondo: confermare la fiducia al direttore sportivo, nonché confidente di Enzo Ferrari e voce influente a livello politico, Marco Piccinini. Terzo: puntare sul genio italico per la realizzazione del propulsore. Il nome buono che sapeva di scommessa era quello di Paolo Massai, adocchiato da Ghidella in Fiat.

Tre mesi dopo la scomparsa di Enzo Ferrari, esplode la guerra. 25 novembre 1988, Vittorio Ghidella viene esonerato senza preavviso e senza troppi complimenti. Al suo posto un altro uomo Fiat, Piero Fusaro. E’ l’inizio del caos.

Il primo braccio di ferro si ebbe tra il presidente e il direttore tecnico Barnard. Oggetto del contendere, l’adozione del cambio elettroattuato al volante.  Barnard era convinto del vantaggio dato dalla novità tecnica, ed aveva dalla sua anche il parere favorevole di Mansell e Berger, mentre Fusaro rifiutava ciecamente l’adozione di quel congegno innovativo e diede ordine di costruire un telaio fatto apposta per ospitare un tradizionale cambio meccanico. Barnard si vide costretto a mettere sul tavolo il proprio contratto.

“Nel contratto c’è scritto che ho io la direzione tecnica dei progetti Formula 1. Se dovessimo fallire, rassegnerò le mie dimissioni immediatamente”. Con questa frase, il progettista inglese mise alle strette il presidente, e la fortuna lo accompagnò. Prima gara stagionale e vittoria inaspettata di Mansell. Fusaro, tuttavia, si trovò a lottare anche con il nuovo direttore sportivo della rossa, Cesare Fiorio.

Personalità contrastanti che entrarono in contatto quando Fiorio riuscì a far firmare a Senna l’ingaggio in Ferrari. Un colpo sensazionale, capace di ricreare nel team quel duo di fenomeni già visto in McLaren con Prost. Fusaro non gradì la mossa sottobanco del direttore sportivo e informò subito Prost dell’accaduto. Il francese iniziò una guerra personale nei confronti di Fiorio, reo di aver ingaggiato il nemico storico.

Quel clima di tensione esplose in una vera e propria guerra intestina nella stagione 1991.

Il dietro front obbligato nei confronti di Senna, spinse Fiorio ad investire sulla giovane promessa della Formula 1, Jean Alesi. Il direttore sportivo, tuttavia, si vide ormai sempre più emarginato dalla dirigenza e da Prost, e fu costretto ad abbandonare il team di Maranello. La vettura di quella stagione, la 642 F1, era una lontana parente della monoposto competitiva della stagione precedente. Impossibile per Prost riuscire a lottare ad armi pari con Senna e la sua McLaren.  Prost definì la vettura guidabile come un camion. Una dichiarazione che fece esplodere l’ennesima bomba in casa Ferrari e che spinse il presidente Fusaro a licenziare immediatamente il francese.

Seguirono momenti imbarazzanti, con Capelli ed Alesi sotto contratto per la stagione 1992, ma con numerose voci che indicavano il francese fuori dalla rossa per far posto a Patrese, Morbidelli o addirittura Schumacher. Il presidente si trovava, inoltre, ad intromettersi costantemente nella gestione sportiva della Scuderia affidata, per il dopo Fiorio, a Piero Ferrari. Un continuo braccio di ferro tra i due che spinse Prost ad affermare pubblicamente “ad Agnelli e Romiti nessuno ha spiegato bene quel che succede a Maranello”.

Il periodo di presidenza Fusaro terminò quando in casa Fiat si decise di affidare la presidenza ad un uomo che aveva respirato l’aria dei Gran Premi, Luca Cordero di Montezemolo. Dal 15 novembre 1991, l’ex braccio destro di Enzo Ferrari, siede alla guida della azienda automobilistica più famosa del mondo. Ha impiegato ben 8 anni per riportare un titolo iridato a Maranello (il mondiale costruttori del 1999) ma è riuscito nell’impresa di ricostruire, con calma e sangue freddo, un team devastato dalle lotte di potere e riportarlo alla competitività che merita.

Le dure parole di Marchionne sembrano dunque preludere alla fine di un periodo storico. L’unico augurio che si fanno tutti i tifosi della rossa, è di non assistere ad una nuova epoca di lotte interne e che si scelgano uomini competenti, intenditori del mondo automobilistico, che possano far tornare la Ferrari a lottare per il titolo mondiale.

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